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2018: L’IVA in Italia si alza a livello recordby Ulrike Cristina

Per un motivo ignoto, finora in Italia nelle mass-media manca l’onda d’ irritazione pubblica. Il nuovo decreto legge n. 95/2017 con “misure correttive” e fra l’altro “Disposizioni urgenti in materia di finanza” è stato pubblicato il 24 aprile 2017, entrando in vigore. Esso contiene alcune brutte sorprese, commutate in legge definitiva il 23 giugno 2017, con il solito automatismo nelle sale del Parlamento romano.

Dal 1° gennaio 2018, l’aliquota IVA generale per i beni e servizi in Italia aumenterà dal 22% al 25%, nel 2019 fino al 25,4%. L’ultimo aumento di un punto percentuale i cittadini lo hanno dovuto digerire appena nell’ottobre 2013. E’ di poco conforto per imprenditori e privati italiani, che lottano dal 2008 come ben si sa con un’economia zoppa, che nel lontano 2020 il tasso IVA scende al 24,9% – per poi risalire subito nel 2021 di nuovo al 25%. A parte la “plusvalenza fiscale”, che poi comprende quindi un quarto dei servizi e prestazioni, questo programmato avanti e indietro nelle fatturazioni future per gli imprenditori ed i consumatori è ugualmente fonte di confusione. Allo stesso momento diventa una garanzia che migliaia di decisioni correttive e punitive dovranno essere adottate da parte dell’agenzia d’entrate per impedire ai presunti evasori fiscali di diventarlo.

Naturalmente anche i delinquenti intenzionali continueranno ad esistere. Essi hanno ora un altro argomento imbattibile per il lavoro senza il fastidio di pressione fiscale, poiché un importo diventato davvero rilevante rivestirà un ruolo. Quando si vedono queste misure in combinazione con altre recenti decisioni del governo italiano in materia fiscale, alla persona innocua potrebbe  venire in mente che il lavoro nero dovrebbe servire come valvola dell’economia in difficoltà per incrementare almeno le attività e il volume d’affari totale nel paese. Solo poche settimane fa è stata cancellata senza alcun’alterativa o rimedio la regolamentazione per le attività saltuarie che potevano essere saldate con un voucher includendo gl’obblighi fiscali, se il totale delle ore al mese rientrava in un certo limite.

Vale anche a dire che Italia a tutto gas parte indietro nel mercato nero non regolamentando dei beni e servizi? Per evitare un ulteriore periodo di evasione accellerata devono agire gli obblighi estesi di “Split payment”, cioè il compito del destinatario dei servizi dell’immediato pagamento dell’IVA al fisco, una regola applicabile nel settore Business to Business e nei settori pubblici.

I privati stanno sicuramente anche in futuro di nuovo di fronte al tormento della scelta: “Con” o “Senza”, sorattutto se i costi non sono deducibili dalle tasse. Questo vale anche per il settore con tassi di IVA inferiori per lavori di ristrutturazione e manutenzione nel settore edile: qui, l’IVA aumenta dal 10% al 11,5% nel 2018 fino al 13% nel 2020.

Successo e successioni europeiby Ulrike Cristina

Il 17.08.2015 è entrato in vigore il regolamento in materia di successione e per il cerificato successorio europeo nella zona UE, che si riferisce a tutte le successioni con “contiguità transfrontaliera” (regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012.)

Questa è infatti negl’ultimi anni una costellazione, che si manifesta sempre più frequentemente: la nonna ha lasciato una casa di vacanza in Toscana e denaro in una banca olandese o il nonno si è trasferito in Grecia a coltivare olive e li muore. Oppure i nonni sono emigrati 60 anni fa dall’Italia, ma hanno ancora un patrimonio in patria. Lo scopo del regolamento europeo è chiaro, ossia di avere nell’area UE regole uniformi per il trattamento delle successioni in un contesto internazionale. È un dato di fatto, che i potenziali defunti sono diventati molto più disponibili ad investimenti esteri oppure a trasferimenti in zona UE.

A parte tutti i problemi pratici con i quali devono combattere gli eredi per un caso di morte all’estero, possono presentarsi delle sorprese in base alle nuove regole valide in tutta la UE. A differenza degli anni precedenti, dove solo la cittadinanza era determinante per l’applicazione del diritto di successione, d’ora in poi per tutti gli effetti giuridici dell’apertura della successione si fa riferimento al diritto dell’ultimo luogo di dimora. Così i figli tedeschi in qualità di eredi improvvisamente presiedono alle norme di successione spagnola, dal momento che il padre per anni si è goduto il sole di Maiorca, prima di morire lì.

Per evitare sorprese è di conseguenza consigliabile, prendere precauzioni durante  la vita: naturalmente ogni cittadino UE può mantenere il suo diritto di cittadinanza e non importa dove trascorre i suoi ultimi anni di vita. Però per questo egli deve appunto stabilire queste volontà espressamente in un testamento scritto. In questo modo la successione del pensionato con dimora all’estero segue ancora il suo diritto della sua cittadinanza. Lo stesso vale proprio anche per il lavoratore straniero di origine UE diventato sedentario, perché suo paese d’origine è diventato un ricordo lontano.

Quello che tuttavia nessun cittadino dell‘Unione Europea può cambiare sono le norme giuridiche nazionali di accettazione e realizzazione dell’eredità. Come concretamente la casa viene trasferita agli eredi, dipende ancora dalle regolamentazioni del luogo in cui si trova la casa. Proprio nel settore immobiliare o nei depositi bancari nell’UE vi sono fondamenti giuridici molto disparati.

In alcuni paesi, si cerca in vano la conservatoria del registro immobiliare, e ci si meraviglia sulle richieste delle banche in merito alla documentazione, se in qualità di erede si vogliono i propri soldi.

Un altro aspetto sono le tasse di successione, per le quali fondamentalmente non esiste una convenzione sulla doppia imposizione: in quanto può accadere che vi venga chiesto di pagare doppiamente all’agenzia delle entrate italiane e a quella estera. Meglio quindi pensarci in tempo, come si può far risparmiare ai propri eredi arrabbiature e soluzioni costose.

“La rivolta dei nani” contro VWby Ulrike Cristina

Meravigliato il pubblico doveva prendere atto che alla VW in più sedi si è giunti ad una “impasse” della produzione ed addirittura all’annuncio dell’orario ridotto (cfr. Frankfurter Allgemeine 22.08.2016), poiché nella controversia con i fornitori non si è raggiunto un accordo. Essa colpisce diverse sedi, perché le ditte Car Trim (materiali) e ES Automobilguss (parti di trasmissione) non consegnano gli accessori ordinati. Gli avvocati della VW combattono con ordinanze temporanee e pensavano di andare a prendere loro stessi i componenti in fabbrica, i fornitori, che appartengono allo stesso gruppo Prevent (www.preventgroup.com/de), erano però ben preparati: senza materiale, niente produzione. Questo vale per un gigante del mercato come VW, come per qualsiasi altro.
I dettagli e le ragioni della controversia sono sicuramente troppo complessi, di come possono essere qui esposti. Interessante è piuttosto l’esempio che stabilisce un fornitore come un presunto “svantaggiato”. Da oltre 20 anni l’economia globalizzata ha lentamente ma inesorabilmente “capovolto” i contratti di acquisto e di fornitura – e questo come progetto alternativo ai requisiti di legge ed ai rapporti di potere fissati. Prima era il cliente che doveva essere trattato dal produttore “come un re”. Egli domandò per un’offerta e si informò sulle condizioni di vendita. Oggi è il re stesso in persona che detta al produttore le condizioni di acquisto e quando, cosa e come deve essere consegnato. Controlli in casa del produttore, controlli di qualità senza preavviso durante la produzione, direttive per l’approvvigionamento dei materiali e definizione dei prezzi, sconti obbligatori e molti altri scherzetti che non lasciano molta scelta al produttore, se egli vuole soprattutto vendere con successo ad un importante cliente. Il grande pubblico si ricorda ancora sicuramente, prima del caso di VW le guerre dei prezzi dei discount nel settore alimentare, il grido dei produttori di latte, che non erano più in grado di coprire i loro costi, in quanto a loro il re del commercio del latte offriva troppo poco.
Poiché il prezzo non si può spingere all’infinito, in alcuni settori diventano interessanti ulteriori accordi: il produttore, che prima produceva su richiesta specifica, è oggi, ad esempio, tenuto a gestire di persona la ricerca dei soluzioni tecnici e materiali, in modo che il re può esaminare il prodotto futuro desiderato e nel migliore dei casi conferire a lui l’incarico.
Non il committente, ma il produttore di conseguenza si fa carico del rischio di fallimento del prodotto esterno desiderato. Come il buon Karl Marx si meraviglierebbe: i capitalisti erano a suo parere, coloro che possiedono i mezzi di produzione necessari quali terreni, fabbriche e macchinari. I fornitori in un mercato globale, come parte della catena del valore aggiunto capitalistico, che deve competere con i produttori più economici, guardano sicuramente in modo diverso: la “classe dirigente” è da molto tempo un re cliente, quando acquista con volumi significativi.
Nel caso attuale, il re VW eccezionalmente per una volta non avrà molte alternative, se la produzione deve andare avanti, dato che Prevent è l’unico alla fonte dei materiali necessari.

Des Handelsvertreters hartes Brotby Ulrike Cristina

Viele Vertragsverhältnisse regeln gegensätzliche Interessen, um zu einem gemeinsamen Erfolg zu kommen, so z.B. zwischen Unternehmen und externem Verkaufspersonal. Hier muss der Spagat gelingen zwischen den Interessen des Herstellers einerseits und denen des selbständigen Handelsvertreters andererseits.
Der Unternehmer sieht am liebsten sein Produkt bei allen potentiellen Kunden weltweit auf das Beste präsentiert und strebt ein sicheres, gepflegtes und betreutes Kundennetz an, das stabile Umsätze garantiert, möchte aber nur den wirklich engagierten und erfolgreichen selbständigen Vertreter nach erfolgreich abgeschlossenem Geschäft umsatzabhängig vergüten, wenn er ganz im Sinne seiner Firmenpolitik auftritt und ihm die lokalen Schwierigkeiten fern hält. Im Idealfall vereint er mit seinem Vertreter die Vorteile des selbständig tätigen Ortskenners, der aber seinen Anweisungen zur Unternehmensstrategie Folge leistet und zahlungskräftige Kunden damit überzeugt. Wenn die Beziehung ins Wanken gerät, sieht er allerdings eher eine unmotivierte Schlafmütze, die nur von den Umsätzen im vorhandenen Kundennetz profitieren will.
Der Handelsreisende selbst, zumal wenn er als Vertragsgebiet im Ausland tätig ist, muss die Gegensätze zwischen deutscher Mentalität und örtlichen Ansichten der Kunden ausgleichen, wenn er den Namen des Unternehmens positiv präsentieren möchte, um Umsätze zu steigern und davon seine Provision kassieren zu können. Im Spannungsfeld zwischen dem Anspruch an seine Tätigkeit und dem in Euro gemessenem Erfolg kommt es da häufig zu Missverständnissen. Bekommt er Kunden- und Herstellerinteressen nicht unter einen Hut, ist der Unternehmer unzufrieden und stellt ihn kalt.
Um das Kräfteverhältnis angemessen zu regeln, aber vor allem die schwächere Position des Vertreters zu schützen, hat die EU bereits 1986 eine Richtlinie erlassen, die in allen Mitgliedsstaaten in das nationale Recht umgesetzt wurde. Knackpunkte für den Unternehmer sind danach die auch vertraglich nicht auszuschließenden Rechte des Vertreters bei der Beachtung von Kündigungsfristen und der Zahlung einer Abfindung zum Ende der Vertragsbeziehung. Und meistens ist es das Unternehmen, das sich vom ungeliebten Vertreter schnell und kostengünstig trennen will.
Das Pflichtprogramm heißt ja nicht, dass der Unternehmer nicht dennoch eine zufriedenstellende Vertragsgrundlage schaffen kann. Vor allem ist es wichtig, gut nach dem Einsatzort zu differenzieren. Die EU ist nicht gleichbedeutend mit dem Europäischen Wirtschaftsraum (EWR), in letzterem z.B. gelten die strengen Schutzregeln für den Handelsvertreter nicht. Auch ist es ratsam sicherzustellen, dass man sich nicht am Einsatzort des Vertreters streiten muss, wenn dieser die Firmenpolitik nicht richtig umsetzt oder aber wenn er weitere Provisionszahlungen reklamiert.
Wer als international tätiges Unternehmen mit einem Netzwerk aus Handelsvertretern erfolgreich sein will, hat also Vertragsmuster in der Schublade, die ausreichend individuell und gleichzeitig in den Regelungen einheitlich sind.

Wer hat Angst vorm „bösen“ UN-Kaufrecht?by Ulrike Cristina

Eigentlich ist das einheitliche UN-Kaufrecht (oder englisch abgekürzt CISG) eine echte Erfolgsstory: heute sind 85 Länder von rund 200 insgesamt dem Übereinkommen der Vereinten Nationen, das 1980 in Wien geschlossen wurde und 1991 in Kraft trat, beigetreten. Und es sind nicht abwegige Insel- und Zwergstaaten, die sich zum CISG bekennen: abgesehen von der Europäern (leider ohne GB, Irland, Portugal, Malta), findet sich auch China, Russland und USA friedlich vereint im gemeinsamen Ziel der Förderung des Außenhandels. Das ehrgeizige Ziel war und ist es, den weltweiten Handel von beweglichen Waren nach einheitlichen, transparenten Regeln abzuwickeln und dabei die Besonderheiten von kulturellen, sprachlichen und örtlichen Distanzen zu überwinden.
Wenn man deutsche Kaufleute nach dem CISG fragt, zucken sie häufig mit den Achseln, auch wenn sie seit Jahren im Außenhandel aktiv sind, haben sie die internationalen Regeln vorsorglich umschifft, um sich bei Verträgen lieber auf „deutsches Recht“ zu verlassen. Der Witz dabei: das CISG ist deutsches Recht. Leider wird es gerade bei deutschen Exporteuren häufig unterschätzt, die den Standardsatz „anwendbar ist das deutsche Recht unter Ausschluss des UN-Kaufrechts“ in ihre Verträge oder AGB eingebaut haben und diesem Automatismus vertrauen. Siegt da die Angst vor dem Unbekannten? Es gibt auch Vorteile, die dem deutschen Verkäufer, Hersteller, Exporteur entgehen, wenn er sich auf sein nationales Rechtsgefühl verlässt.
Abgesehen von einer einheitlichen Regelungsgrundlage auch mit Kunden aus Ländern, deren Mentalität man nicht gut kennt, die Verfügbarkeit des Textes in vielen Sprachen, ist die Tendenz des CISG klar: der Handel soll gefördert werden, das ist die Basis und nutzt gerade auch dem deutschen Verkäufer.
Im Gegensatz zum steiferen Grundkonzept des 19. Jahrhunderts bei Handelsgesetzbuch und BGB kann der anbietende Kaufmann auf internationaler Ebene z.B. seine Meinung viel einfacher ändern und sein Angebot noch widerrufen, Ersatzlieferungen dürfen nur bei wirklich schwerwiegenden Vertragsverletzungen verlangt werden, denn das Geschäft soll ja laufen. Die Schutzrechte der Verbraucher müssen im internationalen B2B-Bereich nicht gefürchtet werden, man bleibt unter sich.
Wenn dennoch etwas schief läuft, ist der Schaden auf den Voraussehbaren zu beschränken. Die Zahlung der Ware erfolgt am Sitz des Verkäufers. Wer bereits hinter seinem Geld um die halbe Welt hinterher gejagt ist, der wird dies sicher zu schätzen wissen.
Das soll natürlich nicht heißen, dass man alle alten Vertragsklauseln unbesehen über Bord werfen soll, aber mit Bedacht gewählt, gibt man dem deutschen vereinheitlichten Recht im Außenhandel eine echte Chance!

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